Festa dell’Incoronata: il messaggio dell’arcivescovo Pelvi

Festa dell’Incoronata: il messaggio dell’arcivescovo Pelvi
Carissimi, domenica 19 aprile, Papa Francesco dinanzi all’ennesima tragedia che ha visto naufragare e morire nel Mediterraneo altre centinaia di nostri fratelli ha detto di questi morti: “Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore”. Uomini come noi. Ne siamo consapevoli? Oppure li consideriamo diversi, pericolosi, quasi degli invasori? Un crimine gravissimo, il traffico di esseri umani, una piaga che rattrista profondamente. Dietro ogni migrante che muore in mare o arriva sulle nostre coste c’è un volto, una famiglia, una storia. Siamo tutti responsabili di queste stragi e non possiamo più restare alla finestra a guardare. La questione del prossimo è la questione dell’umano. Di fronte all’inumano che si manifesta in mille forme, la carità vuole custodire la dignità di ogni uomo. Prossimità è disponibilità a farsi vicino, a muoversi da dove si è, è un’azione, non uno stato. Il prossimo non esiste già prossimo; diventa prossimo non colui che ha già con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinità psicologica. Prossimo divento io stesso nell’atto in cui, davanti a un uomo, anche forestiero e nemico, decido di fare un passo che mi avvicina, mi approssima. La questione del prossimo conduce verso un’attenzione radicale ai diritti dell’uomo: dai diritti dell’uomo all’uomo che di tali diritti è titolare, in virtù del suo essere uomo. Potremmo dire che i diritti sono dei segni di un bene degno di rispetto che è “l’umanità della persona umana”. Dinanzi al principio di umanità impariamo a riconoscere e disconoscere le tante forme di inumanità, radicate sull’umiliazione, che estromette, di fatto, dalla condizione umana. L’essenza dell’umiliazione è l’indifferenza che riduce le persone a casi da affrontare: un numero in lista, una firma liberatoria, una richiesta di ammissione, un modulo da compilare, un corpo da sottoporre a indagini. Restare senza volto indica la riduzione di un uomo allo status di non-persona, per cui la persona si sente congelata, immobile, pietrificata. Il disprezzo riesce, così, a cambiare l’interlocutore umano in un nulla. Più che parlare di conoscere il prossimo, diventiamo noi stessi il prossimo. Il prossimo non è semplicemente colui che mi è vicino fisicamente, ma è divenire vicino, spostarsi da dove si è per andare là dov’è l’altro. Occorre leggersi dentro per comprendere l’altro, ascoltandone la sofferenza. Ama il prossimo che è come te stesso; ama il tuo prossimo come ami te stesso; ama il tuo prossimo perché egli è te stesso. Si tratta di dare visibilità all’invisibile. L’umanità non è un dato, ma un compito. L’uomo è scultore di se stesso. Farsi prossimo equivale a farsi umano, a decidere di essere uomo nella modalità della relazione, della generosità, trasformandosi in dono per gli altri. Gesti concreti, impegni personali e familiari, accoglienza e ospitalità nella propria casa, messa a disposizione gratuita del tempo e delle proprie capacità, presa in carico da parte della comunità cristiana di un servizio continuativo, interventi di solidarietà nelle emergenze possono essere occasioni per crescere come famiglia di Dio, in una fraternità sempre più ampia. Agire nel quotidiano, sporcarsi le mani con i deboli, progettare insieme le risposte e riflettere sul senso di quello che si fa, di che cosa cambia nella vita degli ultimi e della comunità che li accoglie: sono orizzonti che orientano al dono di sé. Necessita quella misericordia, che ha come anima la speranza, in grado di reggere prove e insuccessi, che accetta la fatica del servizio meno gratificante, che vede un cammino di salvezza anche nelle situazioni umane più degradate, che mette in crisi l’efficienza dei suoi risultati. In una società segnata da concorrenza, disgregazione, opposizione, nella quale non siamo nemmeno più capaci di parlarci senza ricorrere ai toni dell’offesa, l’esigenza della carità, così controcorrente rispetto all’egoismo dominante, è un cammino al quale sono chiamati tutti. L’umanità, infatti, è una, e ogni essere umano o si colloca in una comunità, in relazione con altri, e allora si umanizza, oppure sperimenta quell’individualismo che ha come unico esito possibile la violenza. È una virtù, quella della misericordia, che ci porta a proporre stili di vita alternativi alla cultura e alle mode correnti: l’attenzione ai poveri, il senso e la dignità dell’altro, l’accoglienza e il rispetto della diversità, l’apertura delle proprie case, forme di condivisione dei beni, il rifiuto della litigiosità, le azioni di dialogo e di riconciliazione nei contesti di vita ordinaria. Non ci facciamo illusioni: senza un cammino di prossimità, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita. Vi è un orientamento di base, una vera opzione fondamentale, che sorregge e guida l’etica della persona: ritrovarsi pienamente nel dono sincero di sé. è il senso più vero della vita e della libertà della persona’. Questo comporta il coraggio di assumere un nuovo stile, che implica il passaggio dall’indifferenza all’interessamento per l’altro e dal rifiuto alla sua accoglienza: gli altri non sono concorrenti da cui difenderci, ma fratelli e sorelle con cui essere solidali; sono da amare per se stessi; ci arricchiscono con la loro presenza. Potrà, così, rifiorire una intera gamma di virtù sociali, dalla sobrietà dei consumi alla sincerità del dialogo e alla solidarietà nella cooperazione. A noi si presenta la sfida di contrastare l’assimilazione passiva di modelli ampiamente divulgati e superarne l’inconsistenza, promuovendo la questione dei valori evangelici, questione non astratta e oziosa, ma concreta, esistenziale e profondamente umana. Essa ci riguarda da vicino come credenti e interessa profondamente la nostra vita. La vita umana è vita di relazione, segnata dall’esigenza del dialogo interpersonale, dove si fonda l’uguale dignità degli uomini, che per questo sono indisponibili, cioè non possono essere asserviti ai propri simili e quasi ridotti al rango di cose. Gli uomini sono accomunati in un’ unica grande famiglia, partecipi dell’uguale dignità personale. Le persone non sono concorrenti da cui difenderci, ma fratelli con cui essere solidali, convinti che ci arricchiscono con la loro presenza. Anche i rapporti con culture ed esperienze religiose diverse, resi più intensi dall’aumento dei flussi migratori e dalla facilità delle comunicazioni, possono costituire una risorsa feconda, da valorizzare senza indulgere a semplificazioni o cedere a eccessivi timori e diffidenze. La reciprocità è il valore fondativo di una società. Abbiamo bisogno di espandere le forme della gratuità e di rafforzare quelle che già esistono. Pensiamo la gratuità, e dunque la fraternità, come cifra vincente della condizione umana, regola d’oro iscritta dal Creatore nella famiglia umana.Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. Di fronte agli enormi problemi dello sviluppo dei popoli che quasi ci spingono allo sconforto e alla resa, ci viene in aiuto la parola del Signore Gesù Cristo: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5) e c’incoraggia: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). L’uomo non è in grado di gestire da solo il proprio progresso, perché non può fondare da sé un vero umanesimo. Solo se pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far parte della famiglia di Dio come suoi figli, saremo anche capaci di produrre un nuovo pensiero e di esprimere responsabili e feconde energie a servizio di un autentico umanesimo integrale. Alla Vergine Incoronata, madre e sorella dell’uomo, di ogni uomo, di tutto l’uomo affidiamo il futuro della famiglia umana. Tutti abbraccio e benedico di cuore. (L)